Avventure di un grafico post maniera

Questa categoria di post possono essere ferro e possono essere piuma.

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La Sunday Logo Review

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Quante volte ci siamo soffermatə ad ammirare una insegna scolorita o la grafica di una bustina di lievito. Quante volte ci siamo fissatə sulla grafica dell’etichetta di una bottiglia di vino accorgendoci dopo venti minuti che abbiamo bevuto troppo?

La «Sunday Logo Review» è l’appuntamento domenicale in cui ti racconto i loghi e identità visive che mi ispirano. È un appuntamento nato nel settembre 2021 quando all’angolo di una strada mi sono soffermato sul logo della ditta di semafori (la SCAE), era un triangolo rosso con una scritta un po’ sbilenca attorno.

L’ho fotografato e ho iniziato a raccontarti su Instagram cosa ci vedevo in quel logo, e questa disamina è diventata interessante per moltə. Da allora quasi ogni domenica ti parlo di una identità visiva che mi ispira, dalla grafica dei preparati per dolci ai brand del cuore come Swatch o CP Company o le Olimpiadi.

Alla fine di ogni episodio si apre la parte più interessante quando siete voi metodistə che mi raccontate le vostre opinioni e i vostri ricordi legati al brand che ti ho raccontato.

Su Instagram trovi un po’ di storico delle puntate nelle storie in evidenza qui, qui, qui e qui.

Sintonizzati ogni domenica sul mio Instagram ed entra anche tu nella balotta dei Metodistə Boshi per parlare di grafica e brand identity.

Storico delle puntate precedenti:

  • Scae

  • Logo Campagna Vaccinazione Anti-Covid19

  • Burger King

  • Lidl

  • Innocent Drinks

  • Foto Industria

  • Puntata Speciale «Imola Sunday Insegna Review»

  • Bitter Radicale / Gagliardo

  • Preparati per dolci del supermercato

  • Grafica dei Panettoni

  • C.P. Company

  • Tony’s Chocolonely

  • Franz Haas

  • Olimpiadi Invernali Beijing 2022

  • MoMA

  • Swatch

Quattro domande da Raffaella Ronchetta

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Questa intervista è comparsa sul blog di Raffaella Ronchetta, giornalista e consulente di comunicazione di Torino

Emmaboshi? Che nome è? Questa è una mia curiosità

Mettiamoci comodi, la storia è lunga. Nel 2000, quando ho iniziato a lavorare ho avuto la fortuna di entrare in un piccolo studio a Bologna (Pablo comunicazione) composto da persone meravigliose. Il loro spazio era proprio come mi immaginavo uno studio creativo, cioè pieno di libri, di musica, di computer e di oggetti belli. C’era anche un cucinotto e si pranzava insieme tutti i giorni. Immagina che a volte alle 12 qualcuno si metteva a friggere e tutto lo studio si riempiva di odore di fritto, che si mescolava al fumo di sigarette (erano altri tempi). Non so se ridere o piangere per questa cosa.

Beh fatto sta che un giorno a pranzo uno dei miei capi era seduto di fianco a me, e ispirato da una boccetta di aceto di prugne umeboshi giapponesi che aveva davanti, coniò per me il soprannome Emmaboshi. Quel nome diventò il mio nome per tutti quelli in studio e quando nel 2004 decisi di intraprendere il mio primo tentativo da freelance, scelsi quel nome e comprai il dominio emmaboshi.net che ancora oggi è la mia casa online.

Trivia: ho assaggiato per la prima volta le prugne umeboshi solamente dieci anni dopo che ho iniziato a usare questo nome.

Cosa fa un designer come te?

Mi occupo di creare una identità visiva originale per progetti, prodotti o aziende che vogliono emergere. Si presentano da me con un nuovo brand da creare, o più spesso con un brand esistente che però non corrisponde più a quello che vogliono essere. In entrambi i casi parliamo molto e ci conosciamo, vengo accompagnato all’interno della loro realtà e parliamo di dove vogliamo condurlo attraverso il processo creativo. Il progetto grafico seguirà le indicazioni emerse da questa prima fase di scoperta.

Definito insieme qual è la cosa migliore da fare (ad es. nuovo logo, nuova immagine coordinata, nuovo sito, nuovi cataloghi ecc) mi metto a progettare tutto, cercando di dare una applicazione coerente all’idea creativa iniziale. Mi capita spesso di lavorare e coordinare i miei fidati partner per attività come lo sviluppo web, le illustrazioni, la stampa tipografica.

Sei un tipo ironico, direi, quanto di te c’è nella tua comunicazione?

Nella comunicazione di Emmaboshi c’è tanto di me, diciamo che è diventata la mia immagine pubblica, un tutt’uno di immagine professionale e personale. Ovvio che, come tutti, indossiamo tante maschere diverse a seconda del contesto, quando sono con la mia famiglia ad esempio sono meno Emmaboshi e più Emanuele, quando sto conoscendo un nuovo cliente magari sono un Emmaboshi più prudente e meno Emmaboshi del Bollettino Boshi. Insomma un ginepraio di personalità, ma devo dire, l’ironia è sempre presente. La uso per divertirmi io in primis, qualche volta mi ritrovo a fare battute solo per ridermele da solo (pensa come sono messo).

Nella grafica dei miei progetti invece l’ironia è più rara, magari quel che cerco è più lo spiazzamento, o la trovata elegante. Non dimentichiamoci che quando lavoro sto cercando di creare qualcosa che poi deve usare qualcun altro, quindi cerco di trovare l’equilibrio tra le esigenze del business e la mia visione. Per iniettare ironia nella grafica bisogna proprio trovare il progetto giusto, che possa comunicare con ironia. Mi viene in mente il progetto C.A.C.C.A. o Mercato sonato, ma se li vedi comunque non è che ti fai una risata…

Cosa ti rende unico in ciò che fai?

Me lo chiedo spesso. Spero che sia la ‘cura’ di ogni aspetto del viaggio insieme al cliente. Dal lavoro in sé alla comunicazione del lavoro, quindi sia l’originalità che devono esprimere i progetti, sia le interazioni umane, dal primo contatto, alla presentazione dell’offerta economica, alla proposta creativa, all’ascolto e la comprensione dei pensieri e dei dubbi.

Provare insieme essere felici, soddisfatti, efficienti. Ogni dettaglio del lavoro è importante, siamo tutti esseri umani, partiamo diffidenti, ma basta darsi fiducia e parlarsi chiaro per realizzare insieme grandi progetti.

Un consiglio a un giovane che vuole iniziare il tuo lavoro?

Divorare tutto, o meglio assaggiare di tutto, di « lavorare duro ed essere gentile con le persone» (cit Anthony Burrill). Guardare tutto con occhio attento, dalla segnaletica di una stazione alla grafica di uno scontrino, da un film di wes anderson al layout di Whatsapp. Imparare a usare il software è importante, ma è una minima parte della personalità di un professionista, quindi è cruciale concentrarsi sulla propria cultura (visiva e non), leggere, leggere tanto, di tutto. Intendo romanzi, non solo libri che parlano di grafica.

Sapere creare una storia, studiare ascoltare guardare, provare la nuova app che è uscita, cercare di capire perché la gente la usa, cercare di capire la gente, forse la cosa più importante è cercare di capire la gente, tutta la gente.

Questo sì che è un bel consiglio, credo.

Come registro e pubblico il mio podcast

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In un'ottica di fatto è meglio che perfetto, mi piace cimentarmi in imprese nuove su terre sconosciute per il solo desiderio di imparare.

Così è avvenuto col mondo del podcast, dove, grazie all'appoggio del mitico Alessandro Pirani, abbiamo realizzato il podcast Vergini senza avere la minima idea di come si facesse.

Ora, dopo qualche mese e una quindicina di episodi prodotti, ti voglio riassumere qui il processo tecnico (quello creativo è un altro paio di maniche), così magari se anche tu vuoi cimentarti puoi raccogliere anche la mia esperienza.

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Io mentre dico cose interessanti

Microfono

Per iniziare mi sono comprato un microfono USB carino dopo avere visto / letto un marea di recensioni. Ho scelto questo e funziona benissimo, ha anche l’ingresso per attaccare le cuffie e monitorare l’audio.

Braccio

Dopo qualche settimana di microfono sulla scrivania inizio ad avere voglia un braccio dove appenderlo e poterlo spostare avanti e indietro. Ho comprato questo per andare sul sicuro. È perfetto e sono contentissimo.

Registrare

Per registrare da remoto in tracce separate utilizziamo zencastr.com e devo dire che funziona molto bene (ci vuole Chrome o Firefox da computer, non funziona da mobile).

Montare

A quel punto ho due o tre tracce audio separate (dipende se abbiamo l’ospite) e le importo in Garage Band dove faccio il montaggio. Tagliuzzo molto soprattutto l’inizio, per avere un attacco forte, e lavoro un po' anche la fine, con i saluti e i 'ciao grazie’.

Sigla

In Garage Band ho anche creato la sigla, utilizzando loop già presenti gratuiti e liberi da diritti. Ho smanettato un minimo sugli effetti e alla fine esportato un mp3 che ri-importo in Garage Band all'interno delle puntate. Da Garage Band esporto l’mp3 della puntata intera.

Copertina

Nel frattempo ho preparato la copertina quadrata in jpg per la puntata, dopo avere creato anche la copertina grafica generale del podcast. Per ogni puntata creo una copertina ad hoc, col nome dell’ospite e il numero della puntata. Alcuni servizi (Spotify) mentre riproduci ti mostrano la copertina dell’episodio, altri (Apple Podcast) mostrano sempre e solo la copertina del podcast.

Testo

Di ogni puntata va scritto un titolo e un testo di accompagnamento che descriva gli argomenti, magari corredati dai link di sui si è parlato nella puntata.

Pubblicare

Con mp3, copertina e testo della puntata mi accingo a pubblicare.

Utilizzo Anchor.fm, stupenda piattaforma di proprietà di Spotify che prende il tuo podcast e lo spara su tutte le principali piattaforme di riproduzione podcast (Spotify, Apple Podcast, Google Podcast, Google Podcasts, Overcast, Pocket Casts). I tempi di propagazione sono diversi per ogni piattaforma, su Spotify è subito visibile su Apple arriva dopo una decina di minuti o giù di lì.

Infine

A quel punto puoi tornare alla monotonia della tua giornata :-)

Ps. Allego foto della mia postazione, il microfono ora lo uso anche per le call!

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La mia postazione

La grafica del modellismo

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Passeggiando per Imola, in provincia di Bologna, sono tornato a fare visita alla vetrina di uno dei negozi che più mi piacciono. Un vecchio e polveroso negozio di modellismo in una traversa del centro storico.

Milioni di mini modellini che prendono la polvere da decenni. Piccoli gioielli che spaziano dai soldatini, ai mezzi di soccorso, ai carri armati, fino alle macchinine da Formula 1, moto, trenini ecc. Allo stesso tempo sono un interessante archivio di grafica, spesso stampata in piccole dimensioni.

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Vecchie macchine da Formula 1, anni '80 circa. Da notare il vecchio logo Benetton e il tipico bianco e rosso della McLaren, molto simile al packaging Marlboro classico, all'epoca sponsor di diverse scuderie di F1.
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Di questa scatola mi piace molto la stampa a tre colori blu, rosso e nero. Oltre alla illustrazione stile fumetto in rosso.
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Il logo con la doppia stella colorata, semplice e super distintivo.
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Grafica di alcuni vagoni merci, vecchio logo FIAT e ignota Logistica Ambrosiana.
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Scatole gialle, scatole nere
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Una vecchia pompa di benzina. Notare anche la tipografia dei numeri stampati sull'etichetta del prezzo.
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Queste macchinine telecomandate da piccolo mi piacevano da matti. Fanno un gran rumore e una gran puzza di benzina, ed per questo erano bellissime. Ora mi piacciono di più gli adesivi che riproducono le grafiche di brand realmente esistenti.

Alexey Brodovitch, pioniere del layout

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Ho scoperto solo oggi il lavoro di Alexey Brodovitch, pioniere della grafica, diventato famoso (nell'ambito della grafica) per la sua direzione artistica del magazine Harper’s Bazaar.

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Russo immigrato negli Stati uniti, nel 1934 viene chiamato a ripensare la grafica di Harper’s Bazaar e a dargli un look più europeo. Rimarrà nel ruolo di art director fino al 1958.

Ricordiamoci che all’epoca le riviste e la loro grafica erano ancora ‘pittoriche’, le fotografie in bianco e nero a bassa definizione, i layout molto rigidi e le pagine molto piene di contenuto.

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A vedere oggi il lavoro di Brodovitch sento l’influenenza tipografica di Depero e dei costruttivisti russi, ma soprattutto capisco quanto ha lasciato come eredità nel mondo del progetto grafico.

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L'utilizzazione di fotografie molto forti, magari scontornate, con i blocchi di testo non inscatolati nelle solite colonne dritte è un approccio che ancora oggi è valido.

Riviste come IL del Sole 24 Ore, che fanno largo uso della creatività nel layout, sono nipoti dello stile Brodovitch.

Puoi scoprire di più sul suo lavoro visitando questo indirizzo.

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La bellezza dell’orario dei treni

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Per dodici anni, negli ultimi venticinque, ho fatto il pendolare in treno e l’orario era la mia bussola.

A metà anni Novanta, nella ridente Imola, veniva spacciato un pratico libriccino tascabile, con tutte le tabelle orarie dei treni che interessavano la stazione di Imola. Sembrava impaginato in casa, in clandestinità, da qualche altro pendolare. Pessima grafica, ma enorme utilità.

Con internet abbiamo smesso di leggere l’orario su carta, ma gli orari affissi nelle stazioni rimangono un’ancora per sbrogliare una situazione complicata (telefono scarico, poca connessione, fretta).

Qualche giorno fa il mio treno partiva da uno dei binari ‘emersi’ della stazione di Bologna, e a fianco a me c’era il monolite con l’orario stampato in formato gigante.

Tutti lo conosciamo, ma magari non facciamo caso a quale piccolo miracolo di organizzazione dei contenuti è. È usabile e rassicurante e pure bello (ok, per un grafico).

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Sta di fatto che racchiude tutte le caratteristiche di una corretta impaginazione:

  • Usa una sola famiglia di font, tra l’altro quella istituzionale del brand Rete Ferroviaria Italiana (il Futura), nei vari pesi (Bold, Regular).
  • Usa pochi colori, per evitare confusione. Vengono evidenziati solo i Frecciarossa, FrecciaBianca, Italo, InterCity.
  • Usa una griglia regolare, che divide lo spazio in parti uguali, rendendo più facile per l’utente capirlo e affrontarlo.
  • Le colonne hanno la giusta larghezza per non lasciare troppe righe monche e consentire una lettura rapida
  • Usa la giusta gerarchia visiva (dimensione dei testi, spessore del carattere):
    • primo livello l’ora (ogni ora viene scandita da questi rettangoli con sfondo blu istituzionale)
    • secondo livello l’orario di ogni treno
    • terzo la destinazione
    • quarto le fermate e altre informazioni.
    • A destra il binario, in un cerchio blu.
  • Usa al meglio l’indentazione, ovvero il rientro di riga, aiutando la scansione verticale tra gli orari e accompagnando nella lettura.

Un capolavoro di equilibrio e pulizia, per un oggetto che ha per primo obiettivo l’usabilità.

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Di fatto gli stessi princìpi sono validi per qualsiasi progetto grafico, sia a stampa che web:

  • Usabilità (leggibilità), cioè l’utente deve capire immediatamente cosa si trova davanti e cosa deve fare (in questo caso leggere!), a seguire questo primo livello subentra il:
  • Look and feel, cioè l’estetica, cioè chi sta raccontando questa storia. Chi è che parla? In questo caso Rete Ferroviaria Italiana, lo capisco perché vedo il blu istituzionale, vedo il logo e vedo il Futura, e anche se non conosco il font, nell’inconscio riconosco che ha lo stesso aspetto di quello che vedo in tutti i cartelli nelle stazioni d’Italia. Ne deduco che chi mi parla è lui, quindi tutto torna e la corretta comunicazione si compie. Ok siamo anche in una stazione, ma funziona anche se questo poster lo metti in una bacheca dell’Ufficio Turismo.
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Quanti altri piccoli capolavori di grafica sono nascosti nelle nostre quotidianità?

Alla ricerca della griglia perfetta

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Il rapporto tra griglia e buon layout ha origine nella notte dei tempi, quando l’uomo nella caverna stava progettando la sua prima pittura rupestre, minuto più, minuto meno.

Non sto qui fare un excursus storico dell’evoluzione della griglia fino ad oggi soprattutto perché non sarei in grado, ma voglio comunque registrare queste mie impressioni.

Il più comune esempio di griglia è un file di Excel, quanto è rilassante iniziare un nuovo foglio di calcolo, riempire le celle e trovarle sempre così ordinate?

Ma la griglia è ovunque, dai calendari, ai giornali, ai libri, perfino in questo metodo di scavo archeologico.

Insomma una griglia ci aiuta ad organizzare qualunque cosa (a parte i sentimenti). La Treccani ha di «Organizzare» una definizione particolarmente calzante:

Dare una struttura ordinata a qualcosa, mettendo i varî elementi che la compongono in connessione tra loro, così che possano operare insieme per un fine determinato.

Sì ma cos’è questa griglia

Di fatto una griglia è una semplice intersezione di righe e colonne, e viene adoperata nella grafica da prima dell’invenzione, nel Cinquecento, dei caratteri mobili. I codici medievali scritti a mano su una colonna erano comunque inseriti in una griglia, da una colonna, con dei generosi margini esterni.

Le griglie dorate

La grande età dell’oro delle griglie è iniziata nel secondo dopoguerra, quando alcuni intrepidi svizzeri (tra cui Max Bill, Emil Ruder, e Josef Müller-Brockmann), alla ricerca della più efficace divisione dello spazio sulla pagina, hanno portato l’arte della griglia a livelli altissimi. Ancora oggi i loro ragionamenti funzionano a meraviglia.

Le griglie di tutti i giorni

Nella vita di tutti i giorni di un grafico, oggi, imbastire la giusta griglia all’inizio di un progetto, aiuta a prendere decisioni cruciali:

  • come dare il giusto respiro alla pagina
  • come dare la giusta gerarchia ai contenuti
  • come dare le giuste indicazioni di spazi a chi scrive i testi

Tutto questo prima ancora di scegliere lo stile tipografico più adatto o la palette cromatica.

Ma la vera sfida è come non rimanerne ingabbiati.

Le griglie per i materiali a stampa

Iniziando a progettare un poster, un libro, una brochure, una enorme pennellatura per uno stand, è spontaneo iniziare dalla dimensione dello stampato per poi partire con impostare i margini esterni, le colonne, il ritmo generale. Questo perché abbiamo una elaborato di dimensioni fisse, di carta, di pvc, di papiro. Immutabili. Possiamo quindi organizzare il contenuto in uno spazio dalle dimensioni fisse.

I grattacapi, a mio avviso, iniziano quando dobbiamo impostare una griglia per delle pagine fluide, ovvero per il web.

Le griglie per il web

All’inizio del webdesign, parlo degli anni Ottanta e Novanta, i layout della pagine web erano spesso fatti utilizzando tabelle, per dividere lo spazio e organizzare le gerarchie dei contenuti. Una delle particolarità di quel primo periodo era il fatto che fosse facilmente prevedibile la dimensione degli schermi su cui venivano visualizzati (800 x 600px, 1.024x768px ecc).

Con l’avvento degli smartphone, poi dei tablet, nati con schermi piccoli e cresciuti nel tempo il mondo del layout ha subito una rivoluzione: il responsive webdesign. Semplificando il RWD è un approccio per cui i contenuti di una pagina si adattano con grazie alla grandezza della finestra, come un liquido prende la forma del contenitore in cui lo versi.

Questa proliferazione di schermi ha di fatto eliminato ogni possibilità di prevedere a quale dimensione sarà visualizzato il sito che stai progettando. E complicato non di poco il lavoro di chi lo costruisce.

Ad oggi le prime tre risoluzioni di schermo più utilizzate al mondo sono 360x640px, 1366x768px, 1920x1080px, ma ce ne sono infinite altre che hanno la loro piccola fetta di mercato, e, giusto per fare un esempio dell’imprevedibilità degli schermi di domani, ieri Apple ha presentato un nuovo telefono con risoluzione di 1.242 x 2.688 px. Si può ancora parlare di smartphone? Chi lo sa.

Usando le griglie più in voga negli ultimi anni si è finito per progettare, ogni volta, sempre lo stesso layout. La maggior parte dei siti ‘si somiglia’, tanto che esiste un bel post che recita Which one of the two possible websites are you currently designing?. Se ci fai caso lo noterai anche tu.

La storia infinita

Da anni cerco la griglia universale, ma fatico a trovarla. Dodici colonne, diciotto, sessanta, le ho passate tutte. Inizio sempre con una griglia, ma non riesco ad evitare che il layout finale risulta appesantito dai suoi limiti e per avere solo alcuni componenti di pagine ‘in griglia’ e altri liberi.

Oggi, grazie al CSS grid ed alcuni suoi evangelisti come Jen Simmons e Andy Clarke, la libertà grafica e la direzione artistica (che erano rimaste appannaggio della carta stampata) stanno iniziando a riconquistare il loro giusto posto sul web.

Questa nuova aria mi sta inebriando, possiamo tornare a progettare in libertà, a usare la grafica come corroborante dei contenuti, progettando con più cura le sensazioni che vogliamo evocare con un branding.

Bisogna solo trovare la griglia giusta.

Il giorno in cui ho visto Zen

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Ti ricordi che caldo maledetto c’era ad inizio agosto? Quei giorni cercavo di rimandare tutti gli appuntamenti nelle ore centrali, o su Skype, stavo rintanato in studio a deumidificarmi, ma non ho potuto rimandare tutto.

Un giorno incandescente di quelli fui invitato ad un appuntamento speciale, a mezzogiorno. Una specie di riunione di lavoro, ma aveva luogo in un cinema, senza aria condizionata. Era la visione privata su grande schermo della versione quasi definitiva di un film per il quale stavo curando la grafica dei titoli di testa e di coda. Un piccolo lavoro il mio paragonato alle fatiche che lo staff aveva attraversato per arrivare a quel ‘prototipo realistico’.

Partecipavano alla proiezione molte delle figure chiave della produzione, la regista, i produttori, il montatore, il direttore della fotografia, gli addetti al suono, e così pure il piccolo grafico.

Ero lì per controllare che la dimensione in cui avevo impaginato (si può dire impaginato per uno schermo cinematografico?) i testi fosse leggibile su grande schermo e che il sapore grafico del font fosse giusto dal primo frame all’ultimo.

Il primo momento di suspence è stato aspettare che il proiezionista, nella sua rovente cabina, scaricasse il mega file del film, appena caricato su wetransfer dal montatore. Lo stato d’animo era tipo stanza della NASA durante l’agognato decollo. Ce la fa? Manca aria. I want to believe. Reattore pronto. 3, 2, 1. Download completato! Tutti che saltano e si abbracciano.

Inizia la proiezione, schermo nero, qualche logo (Biennale College! Ministero!) e subito le prime immagini. So che potresti già saperlo, ma io l’ho realizzato solo lavorando con questi ragazzi, che spesso i film, se ci fai caso, iniziano con tre, quattro, cinque minuti di girato che pensi «mi sono perso qualcosa? Non lo scrivono il titolo?» ed proprio in quel momento che compaiano i veri crediti, la regia, il titolone del film (Mamma! Guarda!). Ma torniamo a quel giorno.

Una sala cinematografica già di per sé è un posto magico, ma vederne una vuota, tutta per te, è una sensazione particolare. Come pure l’essere in un cinema ‘per lavoro’ in orario lavorativo, o l’avere inserito un pizzico di te in una grande storia raccontata a duecento voci.

Durante la proiezione, non la più tranquilla devo ammettere, tutto lo staff parlava, si alzava, annuiva, ma è tutto ok, perché è una proiezione di lavoro! La regista dice al suono che qui ‘manca ambiente’, la regista dice al montatore ‘qui stacca troppo presto’, la produttrice che dice al grafico ‘Eppur si legge!’.

Altra particolarità di una proiezione di lavoro è che tutti restano seduti fino all’ultimo testo dei titoli di coda. Qui è capitato un episodio divertente, il film finisce, il protezionista accende le luci in sala appena iniziano i titoli di coda. URLA FEROCI DALLA SALA! Eravamo lì per controllare anche i titoli di coda. Ah e dimenticavo, è bello anche leggere il tuo nome nei titoli di coda (Mamma! Dove sei andata! Guarda!).

Il film si chiama Zen sul ghiaccio sottile, regia di Margherita Ferri, prodotto da Articolture ed è appena stato presentato niente meno che alla Mostra del Cinema di Venezia, nella selezione ufficiale Biennale College Cinema.

Di cosa parla? Sono una frana con le sinossi, ma posso usare le parole della regista: «è una storia di formazione, che segue il percorso emotivo di Maia, detta Zen: un’adolescente in cerca della propria identità di genere, per questo incompresa e bullizzata dai propri coetanei». Aggiungo che è ambientato nel bellissimo Appennino modenese.

Guarda il trailer ufficiale.

Inoltre Sulla pagina ufficiale del film trovi tutte le info, foto del red carpet a Venezia, foto del work in progress, tutto. Le hanno anche intervistate ad Hollywood party, trasmissione storica e prestigiosa di Radio 3: ascolta la puntata, dal minuto 28 in poi!

E quando arriverà in sala andiamo tutti a vederlo, perché è davvero bello.
Viva il cinema indipendente, ma viva anche chi mi fa fare i titoli!

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Questo racconto è apparso in anteprima nella 54° edizione del roboante Bollettino Boshi, la newsletter piena di cose inaspettate che invio di tanto in tanto.

Iscrivi anche tu e avrai mille nuovi argomenti per ravvivare una conversazione.

Professor Boshi

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Qualche mese fa sono stato invitato dalla Domus Academy di Milano a tenere una piccola serie di lezioni/workshop sui fondamenti del progetto grafico all'interno del loro master di Architectural representation.

Sono diciotto anni che lavoro nel campo della grafica, ma non mi era mai capitato di fare lezioni di fronte a degli studenti, quindi per me era una novità assoluta. Superata l'ansia iniziale ho diviso le lezioni in quattro macro aree

  1. Identità visiva
  2. Tipografia
  3. Layout
  4. Mappe, infografiche e grafica ambientale

Ovviamente trattandosi di sedici ore totali questi argomenti sono stati solo imbastiti, ma per dei ragazzi che studiano urbanistica e architettura è stato interessante imparare come approcciare l'identità visiva di un qualsiasi progetto, ovvero concetto e contesto. Non esiste una grafica bella o brutta in senso assoluto, ma scelte adatte o non adatte al contesto del progetto.

I ragazzi hanno anche lavorato individualmente ad un lavoro di identità visiva che abbiamo fatto crescere lungo l'arco delle quattro lezioni con rapidi cicli di revisione.

I ragazzi venivano da ovunque, Cina, Colombia, Georgia, Germania, India, Russia, Turchia, Stati Uniti ed è stato super interessante provare a trasmettere loro le conoscenze base della progettazione grafica per uno sguardo curioso, con l'obiettivo di imparare a comprendere, almeno un po', il complesso sistema visivo in cui viviamo.

Alla fine delle quattro mezze giornate di lezione i ragazzi mi hanno confermato che il mio inglese si capiva bene, e mi hanno pure fatto un applauso di saluto!

Non ce l'ho fatta allora a non farmi questa foto insieme a loro.

Saranno per sempre nel mio cuore come «i miei primi studenti».

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Al riparo dai pericoli

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Nel 1995 avevo quindici anni e tanto tempo libero. Passavo ore ad ascoltare musica sdraiato sul letto, pomeriggi interi, con il mio mini impianto compatto Sharp nero posizionato sul comodino. Ho scoperto che era uno Sharp Boombox Qt-cd44.

All’epoca costruivo la mia libreria musicale, prima di tutto mentale, facendomi prestare dei cd e riversandoli su cassetta, oppure cercavo di registrare, sempre in cassetta, le canzoni quando passavano in radio, le dita su play e rec contemporaneamente, aspettando, come l’orso aspetta i salmoni che risalgono la corrente, ma con meno istinto.

A Imola, dove sono cresciuto, in quegli anni aprì un negozio di ‘noleggio cd’ (sì, hai letto bene) che come potrai immaginare passò più tempo chiuso per grane legali che aperto. All’inizio il prestito veniva chiamato prestito (per tre giorni costava qualcosa come cinquemila lire), dopo poche ore evidentemente dovette ‘cambiare musica’ e divenne una ‘compravendita’ (te lo compro a diciottomilalire, quando me lo riporti te ne restituisco tredicimila), ancora pochi quarti d’ora ci fu la necessità di creare un ‘circolo’ con relativa tessera, ebbe vita breve.

Da ‘Rosanna’, così chiamavamo quel posto, come la sua audace proprietaria, tutte le copertine erano state tolte dalle loro confezioni ed esposte in grandi bacheche sfogliabili. Per il grafico che stava nascendo in me fu il primo contatto con dei progetti grafici di respiro internazionale, loghi di band, foto ritoccate e ovviamente si sceglieva cosa noleggiare in base alla copertina, alle vibrazioni che ti trasferiva quel pezzo di grafica quadrata. Il rischio di prendere una sòla era grande, ma il rischio economico limitato e tutto sommato a sedici anni hai ancora tutto da scoprire.

Uno di quei pomeriggi qualsiasi andai a trovare Pasquale, il quale non ha mai voluto che lo chiamassi zio (pur essendolo) perché lo fa sentire vecchio. Pasquale è un audiofilo e se non ne hai mai conosciuto uno, te ne faccio l’identikit:

  • è abbonato a riviste con nomi perentori come Fedeltà, Suono o Audio;
  • possiede un impianto stereo che sembra l’Italia in miniatura, alimentato da una centrale idroelettrica dedicata;
  • in casa ha una stanza destinata solo all’ascolto della musica con Italia in miniatura da una parte e divano dall’altra. Bellissima.

Appena arrivato Pasquale mi dice «Ho un disco da farti sentire che potrebbe piacerti». All'epoca forse ascoltavo timidamente dell'hip-hop mainstream. Era Blue Lines dei Massive Attack e non solo mi svoltò il pomeriggio, ma mi traghettò verso la cosiddetta musica underground.

Pasquale ha anche molti altri meriti, non ultimo quello di avermi iniziato al mondo dei computer e della grafica facendomi giochicchiare con il suo Apple Macintosh che aveva su una delle prime versioni di Macromedia Freehand, ma ne parleremo un’altra volta, torniamo ai Massive Attack.

Quel disco inizia con Safe from harm(Al riparo dai pericoli) che a sua volta inizia con questo giro di basso pazzesco. Da solo varrebbe già tutto il disco, immagina sentirlo nella stanza dell’ascolto’ di un audiofilo. Oggi ho scoperto tra l'altro che quel giro di basso viene da un pezzo di Billy Cobham del 1975 (qui lo puoi ascoltare) chiamato Stratus. Su Discogs ho anche scoperto che di Blue Lines, l'album, ne esistono ad oggi 46 edizioni censite. Qui la lista, se ti vuoi divertire.

Il colpo di grazia però me lo diede la grafica di questo disco. Così pulita, così ‘alternativa’. L’utilizzo della carta havana di sfondo con sopra un adesivo col simbolo di ‘infiammabile’. Il nome della band in sovrapposizione. Scoprii più tardi che questo stile si inseriva nel filone della grafica alternativa inglese, guidata da Designers Republic e dalle copertine della Warp records e dai flyer dei locali di Londra (Fabric in testa), dal look di magazine come i-D, Dazed and Confused,The Face. Tutto questo ebbe un'enorme influenza sui miei primi passi nella grafica ed anche se oggi lo stile Designers Republic lo trovo iper datato, questa copertina invece rimane potentissima.

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Di recente è poi emerso che Robert “3D” Del Naja, uno dei due Massive Attack, di origine napoletana nonché writer attivo dalla metà degli anni Ottanta, probabilmente è (una delle persone dietro) Banksy. Per inquadrare bene chi sia '3D' c'è questo bell'articolo per immagini del Guardian.

Pasquale poi mi fece una cassettina di Blue Lines, che consumai a furia di ascoltarla, poi comprai i cd originali, proprio per le loro grafiche, poi li andai a vedere da vivo, fino ad oggi, giorno in cui ho voluto condividere con te questa storia.

Sono sicuro che anche tu hai una storia legata ad un disco che ti ha svoltato. Raccontamela.

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