Testate. In principio fu "Il Corriere della Sera". Mi piaceva l'aria demodé della testata d'Italia, così Fiat (sia nel senso della casa automobilistica, sia nel senso della fiducia).
Poi, quando già da tempo ero passato a "La Repubblica" - con quella pagina di cultura dove, dalla solitudine dell'uomo globale ai mille modi per cucinare il cinghiale, passando per il nuovo disordine amoroso, si trovava sempre il modo di infilarci dento Zygmunt Bauman - la testata d'Italia divenne l'interazione Materazzi-Zidane. Google per credere.
Passai a "Il Riformista". Serio, compatto e compassato. Ma non c'era la pagina della TV. Poi uscì "Libero" con allegato (a soli € 1!) "Libero Mercato" diretto dal mio idolo Oscar Giannino.
Quindi passai a "Il Foglio", con il susseguirsi di eventi che tutti conoscono. Qualcuno avrà riflettuto che esistono notizie e approcci alla notizia che hanno l'importante funzione sociale di spiegarci come i giornalisti talora lavorino.
Mi riferisco in particolare alla crisi finanziaria, ai mutui subprime, alla cordata Alitalia. And so on. Dunque, perso per perso, sono tornato a "La Repubblica".
E non per suggestioni aristoteliche, del tipo che il futuro è alle spalle. Semplicemente è più maneggevole. Il destino è quello di ogni oggetto. Esaurito il suo perchè (leggerlo) resta il suo come (smaltirlo). Ma per smaltirlo bisogna testarlo?