Festival. Al festival della filosofia riaffiora un argomento caro agli insegnanti democratici. Il dialogo, inteso più come prassi che come cultura. Si accompagnano le scolaresche e le si introduce a una didattica diversa, più libera, più creativa, più multidisciplinare. Gli studenti, prettamente liceali, ascoltano la conferenza, applaudendo per lo più le chiose degli oratori sul cattivo operato del Ministro. Bene. Nel momento del dibattito, delle domande da porre agli autori, è tutto un fuggifuggi, un proliferare di disattenzioni varie, per l’appunto mentre ha luogo la prassi (tanto agognata, più dagli insegnanti, che dagli studenti) del dialogo. Occasione smarrita? Forse. Di sicuro, però, se c’è un docente, il discente si rassegna. Tutto chiaro. Se si mescolano i ruoli, si mescolano anche le impressioni. E le impressioni hanno la lingua. Quindi il caos regna sovrano. Questo insegna il festival. Il dibattito, come forma di dialogo, è disturbata dal disordine sistemico. Per meglio dire: gli studenti amano sentirsi filosofi per un giorno, ma per lo più gli piace cazzeggiare. Natura o cultura?

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