Cellulari. Quando mio nonno comprò il primo portatile aveva ormai più di 60 anni. Definire quel telefono portatile è forse inappropriato. Aveva le dimensioni di un megafono, due ore di autonomia, il peso specifico del Cervino e costava come una Rolls Royce. Quando se ne dovette separare, per comprare un apparecchio che fosse effettivamente portatile, volle restare un minuto solo con lui. Anzi, con lei. Si, perché mio nonno ha sempre battezzato gli oggetti tecnologici, elettronici o meccanici con un nome femminile. Del resto la donna è mobile (in italiano), e il cellulare pure è mobile (in inglese). Solo che il nonno ha sempre usato lo stesso nome: Carolina. Dalla Due Cavalli, all’aratro, passando per la pistola spara-chiodi. Sempre e comunque Carolina. Prima di sostituire Carolina I con Carolina II le riservò un trattamento funebre degno di un Faraone, rivestendola interamente di Scottex Casa. Quello fu il giorno in cui mio nonno mummificò il cellulare. In verità, non aveva sepolto Carolina I. L’aveva eletta (o degradata) a telefono fisso, o semi-mobile. Questo è il cellulare che userò in auto, sentenziò. D’accordo, ma lo Scottex Casa? Quello serviva per evitare che qualcuno lo notasse quando l’auto era posteggiata. Nella sofisticata psicologia di mio nonno, un eventuale malintenzionato avrebbe pensato che si trattasse di un panino, e non lo avrebbe rubato. Si meravigliò che non avessi capito subito. Hai anche studiato, mi rimproverò. In effetti, è vero. Maurizio Ferraris ha scritto un bel libro sul telefonino intitolandolo: Dove sei? È appropriato, non c’è dubbio. Forse mio nonno avrebbe risposto: Alla neuro. Ma come avrebbe fatto, in auto, senza auricolare?

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