Black Books é una libreria. I libri sono tutti ammucchiati qua e lá, in disordine. L’ambiente é polveroso e scassato ma accogliente.
Nella libreria ci lavora il padrone, Bernard, misantropo alcolizzato e fumatore accanito, e Manny, un personaggio talmente eccentrico da non trovare aggettivi per descriverlo. Fran é la terza protagonista, amica dei due e compagna di bevute di Bernard, passa il suo tempo tra la libreria e situazioni assurde.
Apparizioni sporadiche di David Walliams (Little Britain). Di tutti i telefilm britannici che ho visto finora, questo é in decisamente il miglior prodotto. Ambientazione originale, dialoghi e situazioni completamente surreali, personaggi fuori dagli schemi (Bernard, che non vuole vender i libri perché dopo li deve riordinare, Manny che lascia la libreria in una puntata e si trasforma in un’ “accompagnatrice”), tutto cio’ che capita nella puntata é inaspettato.
Il tutto condito con un’ ironia tagliente, mai volgare. Una comicitá se vogliamo piú vicina ai Monty Python rispetto ai soliti telefilm inglesi, che come avrete intuito se avete letto i miei post precedenti rifuggono facilmente nel trash.
Bellissima.
Una strategia efficace per riprendersi da un momento di crisi é osservare qualcuno, magari che non ti sta molto simpatico, che se la passa peggio di te. É esattamente la grande idea di questo telefilm, the inbetweeners.
Narra di quattro adolescenti alle prese con la scoperta della vita e, in particolare, delle ragazze. Non é possibile narrare le catastrofiche figure di merda in cui incorrono. Il livello di imbarazzo dello spettatore finalmente e inesorabilmente raggiunge il parossismo. Se quando ripensi alla tua adolescenza credi di essere stato impacciato e inopportuno nella maggior parte delle relazioni sociali che hai vissuto, dopo che avrai visto questo telefilm potrai finalmente tirare un sospiro di sollievo.
Se invece sei nel pieno dell’adolescenza o ci stai per entrare, questo telefilm é un perfetto manuale su tutto cio’ che un ragazzino maschio dovrebbe evitare di fare. E in piú, I quattro protagonisti, oltre ad essere stereotipi di rara banalitá (il secchione, il carino ma impacciato, il contaballe, il totale idiota) sono di un’antipatia unica. Quindi per una volta non ci si sente in colpa per le disgrazie altrui.
Temo che le intenzioni di chi ha ideato questa serie non fossero queste e credo che se ne parlaste ad un inglese lo prenderebbe un po’ piú sul serio, ma per la nostra sensibilitá questo é il migliore uso che ne possiam fare.
Sono andato a vedere
Videocracy per caso. Una volta arrivato mi aspettavo, forse ingenuamente, una bella riflessione sul ruolo dell’apparenza nella nostra televisione, la mercificazione della donna, magari come funzionano i messaggi subliminali e così via. Mi sono invece trovato di fronte all’ennesima invettiva contro Silvio Berlusconi. Invettiva peraltro male realizzata. Manca letteralmente uno svolgimento, una tesi (per intenderci, alla Michael Moore), e a me è parsa come una sintesi di cose già viste e sentite. Non si impara nulla di nuovo. La ricerca dell'apparire come valore supremo non viene interpretato come caratteristica tipica di tutta la società occidentale, ma come una tipicità italiana dovuta al fatto che Silvio Berlusconi, che è stato dimostrato quale noto puttaniere da recenti vicende di cronaca, ha plasmato la televisione commerciale sulla sua visione del mondo, tutta culi e tette. E io che speravo in una bella introduzione sul fenomeno
Colpo Grosso, visivamente citato e comunque non un prodotto della televisione berlusconiana, o qualche riferimento ai film con Edwige Fenech, con cui ho avuto l’onore di crescere. Niente. E poi noi italiani siamo sempre i peggio, la nostra TV fa proprio cacare. Non come la programmazione statunitense, dove grazie a
Fear Factor possiamo ammirare concorrenti che, per vincere soldi, si mettono a mangiare vermi vivi. E il bello che situazioni del genere in Italia erano state previste
trent’anni fa.
The Big Bang Theory racconta di quattro amici nerd che lavorano al dipartimento di fisica di non so quale università a Los Angeles. Due di questi condividono l’appartamento, e un bel giorno arriva come nuova vicina una ragazza bellissima, buona e semplice, che lavora come cameriera. Uno dei ragazzi si innamora di lei, e questo diciamo é il tema principale.
Per il resto é costruita stile commedia brillante, ambientata principalmente nei loro appartamenti e basata su dialoghi fighi (tipo Friends o Senfield, per indenderci). Un paio di considerazioni.
Primo, finalmente un telefilm che parla di accademici (sperare negli economisti era troppo anche perché probabilmente un economista é molto piú noioso di un fisico). E riescono a farlo in modo divertentissimo, puntando sulle idiosincrasie dei nerd (esilarante l’ indiano che ammutolisce in presenza delle belle donne e viene scambiato per un ottimo ascoltatore).
Secondo, anche se lo schema é giá noto, le storie sono davvero esilaranti, e i dialoghi sono geniali nella loro assurdità, anche se a volte un pochino pedanti (ma la pedanteria é propria della mente rigorosa e quindi in questo modo rispecchiano appieno i personaggi).
La prima serie è imperdibile, vediamo la seconda.
Recentemente non guardo molta TV, così magari di stupisco di cose che in realtà sono assolutamente normali. Stamattina mi son svegliato e ho acceso il televisore, c'era una pubblicità che raccontava di un gruppo di amici maschi che suonano insieme e che devono incontrare una nuova tastierista, tale "Fiammetta". Si presenta un figone atomico che oltre a essere gentile e piacevole alla fine del concerto ammicca pesantemente a uno dei ragazzi. Io non posso svegliarmi e vedere ste cose. È semplicemente falso, non succede, Basta! Per forza poi la gente è depressa, è questo alzare continuamente le aspettative, nel sesso, nel lavoro. Soprattutto nel sesso.
Gavin & Stacey è la storia di due ragazzi che per lavoro si conoscono al telefono. Lui é di Essex e lei é gallese. Si piacciono, si incontrano , si innamorano e si sposano.
Gli altri personaggi della vicenda sono i suoceri (anche se per l’esattezza il padre di lei é morto ed é sostituito dallo zio omosessuale latente e logorroico) e dai rispettivi migliori amici, entrambi ciccioni, che talvolta quando si vedono trombano e fanno anche un figlio. È in assoluto il telefilm più noioso che abbia mai visto.
Se le sit-com inglesi ci hanno abituato alle scene di imbarazzo anche pesante, qui lo spettatore si sente imbarazzato pensando semplicemente alla poverissima sceneggiatura. L’idea dovrebbe essere giocata sulla differenza tra le culture, ma io, a parte il fatto che l’accento gallese toglierebbe la femminilità pure a Grace Kelly, (mentre a Essex parlano Cockney, e anche questo fa abbastanza schifo) e che i gallesi sono molto più tamarri, ma comunque sempre di tamarri si parla, io ste cazzo di differenze non le vedo. Per non parlare dei personaggi.
Il protagonista é una brutta versione di Robbie Williams e esegue esattamente due espressioni facciali diverse nel corso di due serie. Lei è buonotta ma appena apre la bocca pensi al mercato del pesce di Roma. Sono tutti antipatici e privi di spessore, tranne forse la cicciona che ha un suo perché, ma non chiedetemi quale. Insomma per chi, come l’editor di questo blog, si diverte a comprare sit-com inglesi su amazon.uk, consiglio vivamente di tenersi alla larga da questa.
Peep show é un telefim ambientato a Londra. È la storia di due amici trentenni che vivono insieme. Uno é una specie di impiegato
nerd, disilluso dalla vita, insicuro e capace sempre di dire o fare la cosa sbagliata in presenza di una donna che gli interessa (questo in realtá é comune tra noi maschietti, ma solitamente lo sbaglio non é mai cosí grande come quelli che compie lui). L’altro è un disoccupato cannonaro che compone musica elettronica e sogna di sfondare, é piú estroverso e
cool, se vogliamo, ma comunque con delle belle tare. Entrambi, e questo a mio avviso è molto realistico, conducono una vita sessuale molto frustrata, intrappolati in poche e insoddisfacenti avventure di ripiego. È un po’
trash ma le serie inglesi ci hanno abituato a peggio (vedi
Shameless, di cui prima o poi parleró). La struttura è ripetitiva ma figa: è quasi tutto girato in soggettiva, rappresentando il punto di vista dell’uno o dell’altro protagonista, ai dialoghi reali si intermezzano i loro pensieri. La prospettiva degli eventi è quindi doppia e se vogliamo opposta, considerate le differenze dei due personaggi. L’inglese, infine, è particolarmente agevole, non si sentono inflessioni dialettali, talvolta usano uno slang leggerissimo, e la stessa struttura dei dialoghi impedisce grandi articolazioni nel discorso. Si rivela cosí adatto a chi vorrebbe iniziare a guardare telefilm in lingua originale.
Tornato in Inghilterra, mi è capitato tra le mani un articolo sulla Disney e sul
rotoscoping. Ho così scoperto che le scene di molti cartoni erano state ricavate ricalcando scene di cartoni precedenti. Caso vuole che il cartone più fake sia proprio il mio preferito da bambino, Robin Hood. Tuttavia non ci sono rimasto male. Per esempio, quando imparai che
La canzone dell’amore perduto è una rivisitazione del
concerto per tromba in D major di Telemann, mi sentii un po’ deluso. Invece continuo a pensare che Robin Hood sia stato il mio cartone preferito. Ma è davvero importante? O forse il punto è che, anche se non importa, questo articolo avrebbe potuto rovinarmi la giornata. Così mi domando se a volte certe cose ho proprio voglia di saperle. Per la mia persona questa non è una bella domanda, considerato il fatto che la maggior parte dei problemi di natura economica si risolverebbero attraverso il potere informativo e ciò è proprio quello di cui mi occupo. Ma evidentemente il bambino che è in me è un po’
luddista.

A Oadby, alla cena di Natale del dipartimento, confesso alla mia amica Siân la mia passione per i romanzi. Lei, di orgini gallesi e con un master in letteratura inglese, mi parla di
Ian McEwan e del suo libro più famoso.
Atonement. Imparo ora che ne è stato tratto un
film. In Italia pare che sia stato tradotto con
Espiazione. Dato che recentemente leggo solo robazza
fantasy, cercai il libro incuriosito. È un romanzo decisamente femminile, non c’è quindi da stupirsi che mi sia piaciuto, dato che uno dei miei libri preferiti è
Cime tempestose. È la storia di una persona che commette un errore irreparabile. Diventata scrittrice cercherà, attraverso la scrittura, un modo per riparare al suo torto e ottenere la redenzione. Non dirò di più per non rovinare la sorpresa. È in assoluto una delle storie più tristi che abbia mai letto.
Dal punto di vista narrativo, l’uomo è un buon romanziere, lo stile è bello e efficace (per quanto il mio inglese ancora timido possa apprezzare i dettagli della scrittura in originale). Conosce gli strumenti del mestiere: utilizza al meglio la forza dell’evento, esalta come lo stesso avvenimento possa esser percepito in modo totalmente differente da diversi punti di vista e come questo possa influire sul corso delle cose, utilizza il colpo di scena in maniera (quasi) inaspettata.
Vivamente sconsigliato se siete un po’ giù.
Ho visto questo film prima di tornare in Italia. Premetto che amo Clint Eastwood sia come regista che come attore. Mi è piaciuto molto, forse sono ancora a caldo per un giudizio oggettivo, e forse dovrei far parlare chi capisce di cinema. Se non lo avete visto, smettete di leggere ora. Il film a cui è principalmente collegato è
Gli spietati, io l'ho letto come una sorta di superamento. L'individuo 'che si fa giustizia da solo', che nasce credo con
John Ford, compie la sua svolta definitiva all'interno del paradigma americano. Il nuovo eroe non è meno forte, moralmente è più forte di prima perchè rispetta le regole, moralmente continua a difendere la libertà, concetto forse usato per giustificare politiche controverse, ma comunque fondamento del pensiero occidentale di cui l'America è l'araldo. Il protagonista è il simbolo della nuova America che deve venire, consapevole di cosa comporta il potere, disgustata dalla sua passata violenza, con ancora la volontà di essere 'Imperatrice', integerrima nel difendere i suoi principi, scorbutica ma alla fine disposta a comprendere chi non le è simile, arrivando a sacrificarsi per costoro.