Tintarella. Ogni estate la solita storia. Nulla di meno dandy delle lampade UVA cui ci si sottopone da metà febbraio per non riscoprirsi gelatinosi e bianchicci in occasione dell’ormai abusatissima prova costume. Un fiorire di test, diete al beta-carotene, riabilitazioni revisioniste del latte di fico (che d’accordo ustionerà pure, ma vuoi mettere quanto ti abbronzi). Ora, si potrebbe obiettare che nel XVIII Secolo, l’incarnato chiaro era esteticamente qualificante, in quanto indicatore di nobiltà di lignaggio o se non altro di ceto agiato. Ma appunto, il presupposto era estetico. E, del resto, qualche modernista avvezzo all’auto-rappresentazione potrebbe ricordarmi (ma dai!) che i tempi cambiano, e che (non mi dire!) bisogna adeguarsi. Benissimo. Rilancio. Per Mamma Brummell la tintarella è più che una ricerca estetica. Configura verosimilmente una qualità morale. Non più di dieci giorni fa, la raggiungevo nella casa al mare. Sulla spiaggia, il suo gruppo di amiche si distingueva per il colore ambrato che hanno i Granturchese Colussi. Mi presenta. Questo è mio figlio. Sai, è un po’ bianco, ma è bravo… sì, insomma, è un bravo ragazzo, via… Invento di avere contratto un male tropicale: la candida. Lo faccio esclusivamente per sollevarla dall’imbarazzo che le provoca avere un figlio pallido. Del resto, biancore a parte, sono davvero un bravo ragazzo. Già, perché se con le donne non puoi condividere il ciclo puoi almeno appropriarti delle loro infezioni vaginali, e consacrarti alfiere delle pari opportunità. Lo cantava anche Mina. E se c’è la luna piena?

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