Oblio. Eccoci al punto. L’oblio come approdo della conoscenza. Non saprei dire se dimenticare è il risultato dell’apprendere. Mi sembrerebbe controproducente, in particolare nel frangente storico in cui l’enfasi sulla memoria è così pronunciata. Indubbiamente, invece, mi pare giusto sostenere l’idea, suggerita in questo blog dall’amico Pasquale “Retrogusto” Pignalosa, della rivalutazione dell’oblio come strategia del comunicare, piuttosto che scopo del conoscere. E come terapia del convivere, aggiungerei. Ma ci pensate? Tutti vogliono essere riconosciuti nel proprio contesto, riusciti, celebrati, blasonati. Questo vale anche per il sottoscritto, che dato il nome e il titolo della rubrica, tradisce un certo narcisismo. Eppure, questo produce competizione, invidia, e soprattutto il fare per il gusto di fare, il partecipare a salotti, il farsi conoscere, il farsi vedere. È un mal comune, quindi bisogna farlo. Eppure, Qualcuno, con la Q maiuscola, lo ha ricordato spesso, che l’importante – in certe situazioni – è sparire. Ve lo ricordate Carmelo Bene?

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