La cosiddetta realtà mi appare come una sorta di contenitore neutro al cui interno, contemporaneamente e simultaneamente, convivono persone affatto diverse fra di loro. Per limitarci alla nostra piccola realtà quotidiana, svariate fasce d’età, cioè di generazioni, che condividono attimo per attimo il reale e quindi l’ambiente, la lingua, il clima, il cibo, la cultura, la tecnologia cozzano fra di loro, si incrociano talvolta silenziosamente. Altre volte si influenzano in pace, altre volte ancora con la coercizione e la violenza si impongono agli altri con la forza di un potere istituzionale o semplicemente gerarchico. E tutti vedono le stesse cose, partecipano alle stesse cose scelgono (o non scelgono) in base agli stessi stimoli e alle stesse pressioni che la realtà esercita in ogni istante su di loro. Ciò che mi incuriosisce e che ancora non riesco perfettamente a mettere a fuoco è il rapporto fra le fasce d’età e le reazioni agli stimoli condivisi. Di certo il monitor nell’autobus può lasciare indifferente una vecchia che torna a casa dopo la spesa, incuriosire un bambino e indignare una collaboratrice di blog. Tutto ciò che è nella realtà non è uguale per tutti anche se oggettivamente è identico per tutti. A tutti è data la possibilità di interpretare o non interpretare questa realtà anche se, presi come siamo dalle nostre piccole identità, riusciamo a farlo solo basandoci sulla nostra inutile esperienza.Ma la massa di interpretazioni del reale, queste infinite e continue scelte/non scelte hanno determinato una prevedibilità ed una serie di appartenenze o alla fine prevale la logica del caso? È ovvio che un bambino sia maggiormente attratto dal monitor tranviario di un ottantenne, ma se l’ottantenne è un professore universitario e il bambino è cieco?

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