Divisa. Tutto parte da una proposta di legge avanzata da una giovane parlamentare, che sostiene la necessità di tornare alle divise nelle scuole, per ragioni di decoro e di uguaglianza fra gli studenti. Il Ministro della Pubblica Istruzione Maria Stella Gelmini fa sua la proposta. La notizia è di oggi. E - manco a dirlo - sarà una di quelle che connoteranno il dibattito tra i fronti degli idioti contrapposti. Mentre penso alla colossale assurdità del discorso livellante, che secondo i più tradizionalisti e nostalgici servirebbe a proteggere dallo stigma sociale gli scolari meno abbienti, mi torna alla mente Cesare Scurati, che asserisce l'inutilità del provvedimento. Al più ci saranno studenti con la divisa firmata. Il senso infinito della distinzione. Gli emancipati sosterranno invece che si tratta di un attacco mortale alla libertà personale, un tema caro agli antagonisti del clerico-fascismo. Non ci siamo. Basta assistere all'uscita degli studenti dalle scuole secondarie per notare il trionfo del cattivo gusto. Ora, il punto è che imporre la divisa nella scuola, chè è in sé un atto istituzionale di appartenenza a una comunità, non è qualificabile ideologicamente. Ma se il messaggio cui siamo sottoposti quotidianamente va nella direzione di uno spiccato individualismo di mercato, come è possibile pensare di re-introdurre la divisa senza alimentare l'impopolarità di cui la scuola già gode? Non è prima più urgente ipotizzare un patto scuola-famiglia su comuni regole condivise? Perchè è così che funziona negli USA. Ed infatti, è laggiù che la divisa è indossata con orgoglio, come membri di un college. E, già che ci siamo, fa meglio alla vista il perizoma in evidenza di una compagna ammiccante, o una professoressa sciatta che si trascina per le scale in pile? Regole condivise, Prof. Dov'è la tua divisa? Chi sei tu per fare orrore?

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