Barcellona. Di recente, sono stato a Barcellona. Ora, come spesso succede quando si visita una città, ci si documenta. E ci si documenta barando un po’, fingendo che tutto ci interessi. Per quanto mi riguarda, da neofita assoluto, volevo contemplare le architetture di Gaudì. Ora, il dichiarare questo apertamente produce un effetto doppiamente perverso. I tecnici si sentono in dovere di spiegarti le metodologie utilizzate dall’architetto catalano per realizzare la Sagrada Familia, spoetizzando l’assoluto delle opere incomplete. I blasé, i viaggiatori, i turisti di professione, gli storici dell’arte e i collezionisti di Lonely Planet stigmatizzano la tua curiosità naїve, accarezzandoti con sguardo compassionevole. Morale: prima di fare un viaggio è buona norma evitare i nerds e i radical chic. Evidentemente, il loro sguardo sul mondo è eccessivamente ristretto. Li accomuna la latitanza della serendipity, e fingono di non stupirsi più di nulla. Per quanto mi riguarda, invece, Barcellona è una città commestibile. Dico questo non soltanto perché la Casa Battlò assomiglia a una deliziosa torta glassata, ma anche perché essendo portato per le sinestesie, quando qualcosa mi entusiasma vorrei morderla. Me lo conferma la recente mostra dedicata al rapporto fra Mirò e la Terra, a Palazzo dei Diamanti a Ferrara. Osservare il Paesaggio Catalano, o La Lepre, vale più di mille parole sul rapporto fra soggettivo, intersoggettivo e oggettivo, come scriveva il buon Donald Davidson. Armamentario epistemologico e decadente a parte, Barcellona deve avere proprio un fascino particolare, se ha fatto sì che Freddie Mercury appendesse al chiodo il chiodo giallo, e indossasse un tuxedo per duettare con Monserrat Caballé. O era uno smoking?

Iniziamo?

Vogliamo parlare del tuo progetto? Siamo qui.

Lets gooooooooo